Lasciare tutto per Dio
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Coloro che preferiscono perdere la vocazione anziché rinunciare al proprio lavoro, devono pensare al giorno della morte. Ah quanti rimpianti (e forse anche rimorsi) avrà il moribondo nelle ultime ore di vita, quando sul letto d'agonia penserà che avrebbe potuto farsi santo se avesse obbedito alla divina vocazione, e che invece, restando nel mondo, ha condotto una vita tiepida e forse anche peccaminosa. Allora dirà: "Ah, povero me! Che ne sarà dell'anima mia tra qualche ora? Ah, se potessi tornare indietro, obbedirei alla vocazione del Signore e adesso morirei sereno! Ohimè, mi vedo così lurido di colpe, mentre se fossi entrato in un monastero di stretta osservanza mi sarei fatto santo! Adesso non mi rimane che piangere e affidarmi alla divina misericordia per impetrare il perdono finale, prima di presentarmi innanzi a Cristo Giudice per rendere conto di tutte le azioni della mia vita."
La storia insegna che in punto di morte, persino dei famosi monarchi hanno detto che sarebbe stato meglio se si fossero fatti frati anziché regnare. E se questo rimpianto è accaduto a ricchi e potenti monarchi, a maggior ragione può accadere a gente comune che ha rinunciato alla vocazione per non perdere un normale posto di lavoro. Ciò mi fa venire in mente Esaù che vendette la primogenitura a suo fratello Giacobbe per avere in cambio un piatto di lenticchie.
Ovviamente chi in passato ha commesso l'errore di rifiutare la vocazione, adesso non deve disperarsi se nel frattempo si è sposato o è diventato troppo vecchio per entrare in convento. Non bisogna mai disperarsi dei propri errori, poiché finché si è vivi si è in tempo per chiedere perdono a Dio, che è un Padre amorevole. Però chi è ancora in tempo per eleggere lo stato di vita a cui Iddio lo chiama, faccia attenzione a non sbagliare. Non vale la pena rinunciare a uno stato di vita più perfetto per ottenere in cambio dal mondo un piatto di lenticchie.
Lo ripeto, non bisogna licenziarsi subito dal proprio lavoro. Tuttavia, dopo che si è avuta la certezza della propria vocazione religiosa, sarebbe insensato continuare a voler restare nel mondo. A chi è indeciso sul da farsi, dico che bisogna farsi coraggio, poiché troppo grande è il bene spirituale che si riceve adempiendo la divina vocazione. Dunque, coraggio! e non dimentichiamo mai quel che diceva San Francesco d'Assisi: "Tanto è quel che m'aspetto, che ogni pena mi è diletto".
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