Lasciare ogni cosa per Dio
Coloro che hanno avuto la grazia della vocazione religiosa devono avere il coraggio di abbandonare tutto per poter abbracciare la vita consacrata. Uno degli ostacoli più ardui da superare è il rinunciare alla carriera lavorativa. Dopo aver studiato molti anni e aver faticato parecchio per vincere un concorso, so benissimo che non è facile abbandonare il proprio lavoro, specialmente se è un posto fisso e ben remunerato, ma se si ha davvero la vocazione religiosa, sarebbe assurdo rinunciare a questa immensa grazia per una carriera lavorativa. Ovviamente bisogna agire con prudenza e prima di licenziarsi è opportuno fare un percorso di discernimento vocazionale per comprendere quel che davvero Dio vuole. Per poter fare un'esperienza vocazionale non è necessario rassegnare le proprie dimissioni, ma è sufficiente prendersi alcuni giorni di ferie o al massimo mettersi in aspettativa. Per quanto riguarda i dipendenti statali, è bene sapere che in Italia hanno la possibilità di prendersi un anno di “aspettativa”, in questo modo non si corre il rischio di perdere il posto di lavoro qualora dopo aver iniziato il postulandato o il noviziato qualcuno decida di tornarsene a casa. L'aspettativa per gli statali può essere rinnovata annualmente, pertanto se si ha qualche incertezza potrebbe essere prudente rinnovarla sino alla professione perpetua.
Coloro che preferiscono perdere la vocazione anziché rinunciare al proprio lavoro, devono pensare al giorno della morte. Ah quanti rimpianti (e forse anche rimorsi) avrà il moribondo nelle ultime ore di vita, quando sul letto d'agonia penserà che avrebbe potuto farsi santo se avesse obbedito alla divina vocazione, e che invece, restando nel mondo, ha condotto una vita tiepida e forse anche peccaminosa. Allora dirà: "Ah, povero me! Che ne sarà dell'anima mia tra qualche ora? Ah, se potessi tornare indietro, obbedirei alla vocazione del Signore e adesso morirei sereno! Ohimè, mi vedo così lurido di colpe, mentre se fossi entrato in un monastero di stretta osservanza mi sarei fatto santo! Adesso non mi rimane che piangere e affidarmi alla divina misericordia per impetrare il perdono finale, prima di presentarmi innanzi a Cristo Giudice per rendere conto di tutte le azioni della mia vita."
La storia insegna che in punto di morte, persino dei famosi monarchi hanno detto che sarebbe stato meglio se si fossero fatti frati anziché regnare. E se questo rimpianto è accaduto a ricchi e potenti monarchi, a maggior ragione può accadere a gente comune che ha rinunciato alla vocazione per non perdere un normale posto di lavoro. Ciò mi fa venire in mente Esaù che vendette la primogenitura a suo fratello Giacobbe per avere in cambio un piatto di lenticchie.
Ovviamente chi in passato ha commesso l'errore di rifiutare la vocazione, adesso non deve disperarsi se nel frattempo si è sposato o è diventato troppo vecchio per entrare in convento. Non bisogna mai disperarsi dei propri errori, poiché finché si è vivi si è in tempo per chiedere perdono a Dio, che è un Padre amorevole. Però chi è ancora in tempo per eleggere lo stato di vita a cui Iddio lo chiama, faccia attenzione a non sbagliare. Non vale la pena rinunciare a uno stato di vita più perfetto per ottenere in cambio dal mondo un piatto di lenticchie.
Lo ripeto, non bisogna licenziarsi subito dal proprio lavoro. Tuttavia, dopo che si è avuta la certezza della propria vocazione religiosa, sarebbe insensato continuare a voler restare nel mondo. A chi è indeciso sul da farsi, dico che bisogna farsi coraggio, poiché troppo grande è il bene spirituale che si riceve adempiendo la divina vocazione. Dunque, coraggio! e non dimentichiamo mai quel che diceva San Francesco d'Assisi: "Tanto è quel che m'aspetto, che ogni pena mi è diletto".